CELLULA
Una delle caratteristiche della caffeina è quella di attraversare con grande facilità le membrane cellulari del nostro organismo; ciò implica che subito dopo averla assunta la caffeina si trova già in ogni singola cellula del corpo.
Quasi nessun medicinale riesce a fare altrettanto, la sua permeabilità è veramente eccezionale.
Fioritura del caffè
La fioritura della pianta del caffè è uno spettacolo meraviglioso.
Basta un forte acquazzone tropicale e due o più volte l’anno, a seconda della varietà, la pianta si copre di una miriade di fiori bianchi, dal profumo delizioso e dolcissimo, come quello del gelsomino.
Dopo 24 ? 36 ore dalla fioritura i petali cadono e inizia a formarsi il frutto del caffè, detto drupa.
Maragogype
I frutti del caffè si chiamano drupe, contengono in genere due chicchi emisferici, assumono colorazioni diverse a seconda del grado di maturazione.
Sono pronti per essere colti circa 6 -8 mesi dalla loro formazione.
Alcune drupe, in particolare quelle alla sommità della pianta contengono un solo chicco di caffè, dalla forma arrotondata; questi particolari chicchi, detti caracolli, sono molto apprezzati e ricercati per le loro caratteristiche di gusto.
Alcune varietà di caffè centro-americane hanno percentuali di caracolli che arrivano al 30%.
Esiste anche una varietà “gigante” di chicco di caffè.
Questa viene detta “chicco elefante” o Maragogype ed è oggetto di particolare selezione.
Si trova, in particolare, in varietà centro-americane di caffè e viene anche utilizzata per incroci volti ad ottenere da alcune piante chicchi di dimensioni più generose.
Ciclo di vita pianta caffè
Il chicco verde di caffè seminato nella terra germina dopo 6 ? 8 settimane. Solo dopo 3 o 4 anni avrete il piacere di vedere fiorire la pianta, e il primo raccolto potrà avvenire soltanto al termine di 4 ? 5 anni.
La pianta del caffè vive 50 anni circa, ma la vita delle piante sfruttate in modo intensivo non supera i 30 anni circa.
Maturazione delle drupe
La pianta del caffè possiede una caratteristica sorprendente: la presenza sullo stesso ramo di fiori e frutti a diverso stadio di maturazione.
Per questo motivo la raccolta manuale, letteralmente bacca per bacca, detta ?picking? è l?unica in grado di garantire una prima selezione delle bacche che porta solo quelle a perfetta maturazione verso i successivi stati di lavorazione.
Il metodo ?picking? è, ovviamente, molto costoso e viene adottato esclusivamente per i caffè di pregio.
CAFFE’ E SALUTE – Il caffè può contribuire al benessere dell’organismo
?Consumato in dosi moderate e con costanza quotidiana, il caffè ha dimostrato di essere un aiuto importante nella prevenzione di patologie metaboliche e neuro degenerative. La sua presenza, quindi, all’ interno della dieta di ogni giorno non solo influenza positivamente la sfera emotiva della persona ma può contribuire al benessere dell?organismo? ha affermato il dottor Andrea Poli, Direttore Scientifico di NFI, Nutrition Foundation of Italy ? il Centro Studi dell?Alimentazione. ?Grazie soprattutto al contenuto naturale in acidi clorogenici, il caffè, anche decaffeinato, è tra le fonti dietetiche più abbondanti di antiossidanti. Il suo consumo permette di assumerne quantità significative, con favorevoli implicazioni sulla nostra salute? ha concluso Andrea Poli.
(FONTE: UFFICIO STAMPA NFI 2008)
L’ANALISI – Robusta, perché e quando nelle miscele italiane è cresciuto l’uso della Coffea Canephora
E’ di qualche giorno fa la notizia che gli scienziati sono riusciti per la prima volta a sequenziare il genoma della specie canephora, da cui deriva la varietà Robusta del caffè. Uno dei motivi per cui si sia riusciti a sequenziare questa specie e non la Coffee Arabica, considerata dai migliori esperti più pregiata, è dovuto al fatto che mentre la prima è diploide (ossia ha due copie per ciascun cromosoma), quella arabica ètetraploide (ha quatto copie del corredo cromosomico), circostanza che rende molto più complesso il sequenziamento del genoma.
Questa notizia ci sollecita una curiosità; quando e perché nei caffè italiani si è fatto ricorso alla Robusta?
Per rispondere in modo esaustivo a questa domanda è utile tornare ai primi anni del Secondo Dopoguerra, quando cioè il mercato del caffè registra una vera e propria esplosione: come ho riportato nel libro “Il ritorno alla competitività dell’espresso Italiano” (Franco Angeli), fra il 1946 e il 1970 il consumo pro-capite decuplica, passando da 0,35 a 3,3 Kg. In quegli anni si sono consolidate delle specificità territoriali secondo cui man mano che si scendeva verso Sud, i consumatori tendevano a preferire caffè più “forti” e per questo nelle regioni del Sud i torrefattori realizzavano miscele con profili di tostatura più scura e utilizzavano una maggiore quantità di Robusta. Anche il caffè in tazzina veniva servito in modo diverso: dal momento che la Robusta risultava essere più amara e con una quantità doppia di caffeina rispetto all’Arabica, nelle regioni meridionali si diffuse la moda del caffè “ristretto”, cioè servito in quantità molto più concentrata (15 ml contro i 25-30 ml del Nord).
Tuttavia, l’uso nelle miscele di caffè Robusta diventò presto una prassi diffusa in tutta Italia e non solo da parte dei torrefattori del Sud. Questo perché, come sostiene il prof. Jonathan Morris, il metodo di estrazione dell'”espresso”, in virtù della maggiore pressione dell’acqua, tende ad esaltare l’acidità e allo stesso tempo a pronunciare il profilo aromatico dei caffè; ciò fa sì che anche i caffè considerati deboli da un punto di vista aromatico, come ad esempio i caffè “naturali brasiliani”, nell’espresso garantiscono una buona qualità. Perfino i caffè Robusta nel sistema espresso hanno un risultato qualitativo migliore rispetto alle altre modalità di estrazione. Dall’altro lato, invece gli “Arabica lavati”, come i colombiani, che negli altri sistemi di estrazione vengono considerati più pregiati, nell’espresso risultano poco graditi, soprattutto al consumatore italiano, proprio per la loro eccessiva acidità. Tutto ciò ha portato il professor Morris a definire il metodo “espresso” «come un modo per rendere i caffè ordinari buoni, ma i buoni caffè ordinari».
Oltre agli aspetti aromatici e di “resa in tazza”, a favorire l’uso di Robusta e Arabica naturali, c’era anche il fattore costo; essendo essi più economici rispetto agli Arabica lavati, i torrefattori potevano risparmiare sui costi.
Nei decenni ’50 e’60, i Brasiliani naturali ancora costituivano la principale base delle miscele; dai dati sulle importazioni risulta infatti che nei primi anni ’70 essi rappresentavano il 69% del totale dei caffè importati in Italia, mentre i Robusta pesavano per il 20% (si veda Fig.1). Questo mix subì un drastico cambiamento a partire dalla metà degli anni ’70, a seguito di alcuni fattori:
a) negli anni 1976-1977 in Brasile alcune gelate distrussero gran parte dei raccolti, e ciò fece schizzare in alto i prezzi. I torrefattori italiani furono allora costretti a intensificare l’uso del Robusta per compensare la scarsa disponibilità degli Arabica naturali;
b) il prezzo al pubblico della tazzina di caffè era regolato dalle autorità locali, per cui i torrefattori erano impossibilitati a traslare interamente i maggiori costi della materia prima sul prodotto finito. Essi cercarono allora di recuperare margini di redditività spostando il mix di produzione su caffè più economici;
c) i consumatori italiani non percepirono il calo qualitativo del caffè, o quanto meno non reagirono con una contrazione dei consumi, e quindi i torrefattori si sentirono legittimati a proseguire la loro politica di impoverimento della qualità delle miscele, quando le quotazioni tornarono ai livelli normali;
d) il mercato dei bar dalla fine degli anni ’70 aveva raggiunto il livello di saturazione, per cui, a fronte dei minori margini di crescita, i torrefattori avevano iniziato ad attuare politiche competitive basate sull’arricchimento dell’offerta (attraverso macchine in comodato d’uso gratuito, finanziamenti per rinnovo locali etc.), che portò ad alzare sensibilmente i costi di acquisizione e di fidelizzazione dei clienti. Come effetto collaterale, la qualità della miscela di per sé passò in secondo piano e ciò permise ai torrefattori di recuperare marginalità attraverso un risparmio sui costi della materia prima.
Il risultato di questi fattori fu che agli inizi degli anni ’80 il mix degli approvvigionamenti era profondamente cambiato: i Robusta erano saliti al 43%, mentre i Brasiliani erano scesi al 36%. (Dati e informazioni tratti da: “Il ritorno alla competitività dell’espresso Italiano”, Franco Angeli, 2014)
Alla luce di questi dati possiamo ritenere che è stato il fattore economico il vero motivo del maggior uso dei caffè Robusta nelle miscele italiane e non fattori qualitativi come alcune volte si sente sostenere da qualcuno. La logica del risparmio sui costi della materia prima, che da un certo momento storico in poi ha preso il sopravvento nelle politiche dei torrefattori, ha finito per logorare la qualità del prodotto venduto al bar, esponendo quest’ultimo alle pressanti insidie dei nuovi competitors che nel frattempo si sono affacciati, come ad esempio il vending prima ed il monoporzionato più recentemente.
Il risultato di questo processo è sotto gli occhi di tutti; il calo costante e drammatico dei consumi di caffè al bar dal 2000 ad oggi ed un calo di competitività anche in campo internazionale (nonostante la crescita dell’export), come emerge in modo chiaro ed inequivocabile dagli indici analizzati nel libro citato sopra.
LE CARATTERISTICHE DEI DIFFERENTI CHICCHI
Le aree geografiche in cui vive la pianta del caffe’ sono numerose.
Pertanto le caratteristiche di base degli oli e dei grassi che costituiscono l’aroma dei chicchi cambiano secondo la temperatura, il grado di umidità e il terreno in cui essi crescono.
CARAIBI E AMERICA CENTRALE
Qui prevale l’Arabica sottoposta al metodo Lavati.
L’Arabica Lavati risulta:
– acidula
– poco corposa
– molto aromatica
In: Porto Rico, Cuba, Haiti, Giamaica, Santo Domingo, Costa Rica, Guatemala, Honduras, Messico, Panama, Salvador, Nicaragua.
AMERICA DEL SUD
Qui vi è la presenza di Arabica Lavati e Naturali.
L’Arabica Lavati risulta:
– acidula
– poco corposa
– molto aromatica
In: Colombia, Venezuela, Perù, Bolivia.
L’Arabica Naturali si produce solo in Brasile e risulta:
– da neutra a dolce a seconda della provenienza e della tipologia del caffè
– mediamente corposa
– equilibrata
ASIA
Vi è una concentrazione cospicua di Robusta Lavati tipicamente:
– forte
– corposa
– cioccolatata
In: Java, India, Indonesia, N. Guinea.
Vi è una buona presenza di Robusta Naturali:
– forte
– molto corposa
– legnosa
In: India, Indonesia e Vietnam.
Vi è una presenza minima di Arabica naturali
– da neutra a dolce a seconda della provenienza e della tipologia del caffè
– mediamente corposa
– equilibrata
La Coffea arabica è presente esclusivamente in India.
AFRICA
è presente l’Arabica Lavati, tipicamente:
– acidula
– poco corposa
– molto aromatica
In: Etiopia, Kenya, Tanzania, Burundi e Zimbabwe.
Solo in Etiopia è presente l’Arabica Naturali:
– da neutra a dolce a seconda della provenienza e della tipologia del caffè
– mediamente corposa
– equilibrata
La qualità Robusta Naturali è tipicamente:
– forte
– molto corposa
– legnosa
In: Uganda, Camerun, Congo, Togo e Costa D’Avorio.
SALUTE – Tè contro l’osteoporosi: così si riducono le fratture all’anca – La bevanda tradizionale cinese può proteggere la salute delle ossa
La caffeina non fa male alle ossa: dopo anni di ricerche dai risultati contrastanti un gruppo di ricercatori cinesi è giunto alla conclusione che non c’è alcuna associazione tra il consumo di caffè e il rischio di frattura all’anca, una delle possibili conseguenze dell’osteoporosi.
Le loro analisi, pubblicate su Osteoporosis International, svelano anzi che un’altra bevanda contenente caffeina, il tè, potrebbe aiutare a proteggere la salute delle ossa. Infatti chi ne beve da 1 a 4 tazze al giorno corre un rischio di fratture all’anca ridotto del 28% rispetto a quello corso da chi non ne beve affatto.
Gli autori dello studio hanno stimato questa riduzione del rischio riesaminando i risultati di 14 differenti studi sul tema che in totale hanno coinvolto quasi 200 mila individui. Nonostante le analisi condotte non permettano di identificare le sostanze presenti nel tè responsabili dell’effetto osservato, secondo i ricercatori non c’è dubbio sull’esistenza di “un’associazione non lineare tra il consumo di tè e il rischio di fratture all’anca”.
Terence O’Neill, presidente del comitato clinico e scientifico della britannica National Osteoporosis Society, ha però sottolineato l’importanza di interpretare le loro conclusioni con la dovuta cautela. “I risultati potrebbero essere stati influenzati da altri aspetti dell’alimentazione e dello stile di vita che sono associati al consumo di tè e caffè e che non sono stati valutati in questi studi – ha sottolineato l’esperto – Ciononostante l’assenza di un qualsiasi rischio significativo di frattura all’anca associato al consumo di caffè e rassicurante”.
Secondo O’Neill ulteriori ricerche permetteranno di chiarire gli effettivi benefici del consumo di tè in termini di salute delle ossa.
Caffè e Salute – Il caffè attiva i geni del risveglio?
Anzichè accendere la moka di caffè mentre ci si lava la faccia in bagno, è meglio rimanere in cucina a gustarsi l’aroma che si diffonde nell’aria, perché ci fa svegliare e attiva il nostro cervello più velocemente.
Potrebbe essere la realtà se il cervello dell’uomo avesse comportamenti simili a quello dei topolini.
Spiega Yoshinori Masuo dell’Istituto Nazionale di Scienza e Tecnologia Avanzata di Tsukuba (Giappone), che il profumo del caffè è sufficiente ad attivare un certo numero di geni preposti al risveglio, ottenendo una risposta simile a quella della caffeina presente nel caffé.
Gli esperimenti si sono svolti su 30 topolini: metà sono stati lasciati dormire, agli altri è stato negato il sonno per un’intera notte.
Ad alcuni di questi ultimi poi, è stato fatto odorare l’aroma del caffé. I ricercatori poi, hanno confrontato lo stato di attenzione delle cavie alle quali era stato impedito di dormire e che desideravano tanto farlo, ma che avevano odorato l’aroma del caffè, con quelli che, invece, assonnati anch’essi per non aver dormito, non avevano sentito il profumo.
Lo studio ha permesso di scoprire che nei primi i geni che si risvegliano dopo il sonno avevano un’attività fisiologica molto elevata, simile a quelli dei topolini che avevano dormito del tutto normalmente.
In quelli tenuti svegli, ma senza averli esposti all’aroma del caffè, l’attività dei geni del risveglio era, invece, nulla.
Spiega Masuo: “Al momento nessun esperimento è stato eseguito sull’uomo, ma si apre una strada importante, perché se il cervello umano dovesse reagire come quello dei topolini, è ipotizzabile pensare alla produzione di profumi che tengano viva l’attenzione delle persone che lavorano in luoghi di alta responsabilità”. Come i controllori di volo o gli addetti alle centrali nucleari.