Vitamina E, caffè e luoghi comuni nemici del fegato
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VIENNA – Vitamina E, caffè e luoghi comuni nemici del fegato: quando si parla di salute i miti da sfatare sono sempre tanti.
E quando si parla di fegato, la prudenza (non) è (mai) troppa. A svelare i segreti della ghiandola più grande del corpo umano ci ha pensato il congresso Easl 2015 che si è svolto nella capitale austriaca venerdì, campagna volta a mettere in risalto l’importanza del fegato, il lavoro che esso svolge e la sua struttura.
I protagonisti di un lavoro presentato al congresso sono proprio loro: la vitamina E e il temutissimo caffè. Attraverso l’analisi dei dati di due studi sperimentali che hanno contrapposto la vitamina E a un placebo in 347 pazienti, si è portata alla luce l’efficacia della vitamina per il trattamento della steatoepatite non alcolica.
A condurre gli studi i ricercatori americani dallo Swedish Medical Center di Seattle, della Johns Hopkins University di Baltimora e della Cleveland Clinic Foundation.
Gli amanti del caffè sono salvi, il nettare del dolce risveglio non fa alcun male al loro fegato. Nicola Caporaso, gastroenterologo dell’Università Federico II di Napoli, scioglie ogni dubbio sottolineando come il caffè prevenga l’evoluzione dell’epatite cronica in cirrosi e riduca il rischio che questa evolva in un tumore.
La bevanda, insomma, non va assolutamente proibita e anzi, assurge al ruolo di alimento benefico al pari del cardo mariano, dei cavoli e di altri vegetali.
Diverso il discorso per vino, birra e superalcolici: in questo caso nessun mito da sfatare, un veleno da cui i malati di fegato devono stare alla larga.
Una dieta varia, nutriente, equilibrata e mista rappresenta la chiave di volta per le malattie epatiche. Niente estremismi, nessuna rinuncia, zero luoghi comuni, possono essere letali.
L’ANALISI – Robusta, perché e quando nelle miscele italiane è cresciuto l’uso della Coffea Canephora
E’ di qualche giorno fa la notizia che gli scienziati sono riusciti per la prima volta a sequenziare il genoma della specie canephora, da cui deriva la varietà Robusta del caffè. Uno dei motivi per cui si sia riusciti a sequenziare questa specie e non la Coffee Arabica, considerata dai migliori esperti più pregiata, è dovuto al fatto che mentre la prima è diploide (ossia ha due copie per ciascun cromosoma), quella arabica ètetraploide (ha quatto copie del corredo cromosomico), circostanza che rende molto più complesso il sequenziamento del genoma.
Questa notizia ci sollecita una curiosità; quando e perché nei caffè italiani si è fatto ricorso alla Robusta?
Per rispondere in modo esaustivo a questa domanda è utile tornare ai primi anni del Secondo Dopoguerra, quando cioè il mercato del caffè registra una vera e propria esplosione: come ho riportato nel libro “Il ritorno alla competitività dell’espresso Italiano” (Franco Angeli), fra il 1946 e il 1970 il consumo pro-capite decuplica, passando da 0,35 a 3,3 Kg. In quegli anni si sono consolidate delle specificità territoriali secondo cui man mano che si scendeva verso Sud, i consumatori tendevano a preferire caffè più “forti” e per questo nelle regioni del Sud i torrefattori realizzavano miscele con profili di tostatura più scura e utilizzavano una maggiore quantità di Robusta. Anche il caffè in tazzina veniva servito in modo diverso: dal momento che la Robusta risultava essere più amara e con una quantità doppia di caffeina rispetto all’Arabica, nelle regioni meridionali si diffuse la moda del caffè “ristretto”, cioè servito in quantità molto più concentrata (15 ml contro i 25-30 ml del Nord).
Tuttavia, l’uso nelle miscele di caffè Robusta diventò presto una prassi diffusa in tutta Italia e non solo da parte dei torrefattori del Sud. Questo perché, come sostiene il prof. Jonathan Morris, il metodo di estrazione dell'”espresso”, in virtù della maggiore pressione dell’acqua, tende ad esaltare l’acidità e allo stesso tempo a pronunciare il profilo aromatico dei caffè; ciò fa sì che anche i caffè considerati deboli da un punto di vista aromatico, come ad esempio i caffè “naturali brasiliani”, nell’espresso garantiscono una buona qualità. Perfino i caffè Robusta nel sistema espresso hanno un risultato qualitativo migliore rispetto alle altre modalità di estrazione. Dall’altro lato, invece gli “Arabica lavati”, come i colombiani, che negli altri sistemi di estrazione vengono considerati più pregiati, nell’espresso risultano poco graditi, soprattutto al consumatore italiano, proprio per la loro eccessiva acidità. Tutto ciò ha portato il professor Morris a definire il metodo “espresso” «come un modo per rendere i caffè ordinari buoni, ma i buoni caffè ordinari».
Oltre agli aspetti aromatici e di “resa in tazza”, a favorire l’uso di Robusta e Arabica naturali, c’era anche il fattore costo; essendo essi più economici rispetto agli Arabica lavati, i torrefattori potevano risparmiare sui costi.
Nei decenni ’50 e’60, i Brasiliani naturali ancora costituivano la principale base delle miscele; dai dati sulle importazioni risulta infatti che nei primi anni ’70 essi rappresentavano il 69% del totale dei caffè importati in Italia, mentre i Robusta pesavano per il 20% (si veda Fig.1). Questo mix subì un drastico cambiamento a partire dalla metà degli anni ’70, a seguito di alcuni fattori:
a) negli anni 1976-1977 in Brasile alcune gelate distrussero gran parte dei raccolti, e ciò fece schizzare in alto i prezzi. I torrefattori italiani furono allora costretti a intensificare l’uso del Robusta per compensare la scarsa disponibilità degli Arabica naturali;
b) il prezzo al pubblico della tazzina di caffè era regolato dalle autorità locali, per cui i torrefattori erano impossibilitati a traslare interamente i maggiori costi della materia prima sul prodotto finito. Essi cercarono allora di recuperare margini di redditività spostando il mix di produzione su caffè più economici;
c) i consumatori italiani non percepirono il calo qualitativo del caffè, o quanto meno non reagirono con una contrazione dei consumi, e quindi i torrefattori si sentirono legittimati a proseguire la loro politica di impoverimento della qualità delle miscele, quando le quotazioni tornarono ai livelli normali;
d) il mercato dei bar dalla fine degli anni ’70 aveva raggiunto il livello di saturazione, per cui, a fronte dei minori margini di crescita, i torrefattori avevano iniziato ad attuare politiche competitive basate sull’arricchimento dell’offerta (attraverso macchine in comodato d’uso gratuito, finanziamenti per rinnovo locali etc.), che portò ad alzare sensibilmente i costi di acquisizione e di fidelizzazione dei clienti. Come effetto collaterale, la qualità della miscela di per sé passò in secondo piano e ciò permise ai torrefattori di recuperare marginalità attraverso un risparmio sui costi della materia prima.
Il risultato di questi fattori fu che agli inizi degli anni ’80 il mix degli approvvigionamenti era profondamente cambiato: i Robusta erano saliti al 43%, mentre i Brasiliani erano scesi al 36%. (Dati e informazioni tratti da: “Il ritorno alla competitività dell’espresso Italiano”, Franco Angeli, 2014)
Alla luce di questi dati possiamo ritenere che è stato il fattore economico il vero motivo del maggior uso dei caffè Robusta nelle miscele italiane e non fattori qualitativi come alcune volte si sente sostenere da qualcuno. La logica del risparmio sui costi della materia prima, che da un certo momento storico in poi ha preso il sopravvento nelle politiche dei torrefattori, ha finito per logorare la qualità del prodotto venduto al bar, esponendo quest’ultimo alle pressanti insidie dei nuovi competitors che nel frattempo si sono affacciati, come ad esempio il vending prima ed il monoporzionato più recentemente.
Il risultato di questo processo è sotto gli occhi di tutti; il calo costante e drammatico dei consumi di caffè al bar dal 2000 ad oggi ed un calo di competitività anche in campo internazionale (nonostante la crescita dell’export), come emerge in modo chiaro ed inequivocabile dagli indici analizzati nel libro citato sopra.
SALUTE – Tè contro l’osteoporosi: così si riducono le fratture all’anca – La bevanda tradizionale cinese può proteggere la salute delle ossa
La caffeina non fa male alle ossa: dopo anni di ricerche dai risultati contrastanti un gruppo di ricercatori cinesi è giunto alla conclusione che non c’è alcuna associazione tra il consumo di caffè e il rischio di frattura all’anca, una delle possibili conseguenze dell’osteoporosi.
Le loro analisi, pubblicate su Osteoporosis International, svelano anzi che un’altra bevanda contenente caffeina, il tè, potrebbe aiutare a proteggere la salute delle ossa. Infatti chi ne beve da 1 a 4 tazze al giorno corre un rischio di fratture all’anca ridotto del 28% rispetto a quello corso da chi non ne beve affatto.
Gli autori dello studio hanno stimato questa riduzione del rischio riesaminando i risultati di 14 differenti studi sul tema che in totale hanno coinvolto quasi 200 mila individui. Nonostante le analisi condotte non permettano di identificare le sostanze presenti nel tè responsabili dell’effetto osservato, secondo i ricercatori non c’è dubbio sull’esistenza di “un’associazione non lineare tra il consumo di tè e il rischio di fratture all’anca”.
Terence O’Neill, presidente del comitato clinico e scientifico della britannica National Osteoporosis Society, ha però sottolineato l’importanza di interpretare le loro conclusioni con la dovuta cautela. “I risultati potrebbero essere stati influenzati da altri aspetti dell’alimentazione e dello stile di vita che sono associati al consumo di tè e caffè e che non sono stati valutati in questi studi – ha sottolineato l’esperto – Ciononostante l’assenza di un qualsiasi rischio significativo di frattura all’anca associato al consumo di caffè e rassicurante”.
Secondo O’Neill ulteriori ricerche permetteranno di chiarire gli effettivi benefici del consumo di tè in termini di salute delle ossa.
Eliminano le macchie e combattono la cellulite, ecco i mille usi dei fondi di caffè
Non buttateli via, i fondi del caffè sono perfetti per eliminare gli odori e le macchie ostinate su stoviglie e superfici, possono essere utilizzati per contrastare la forfora e combattere la cellulite. Ecco i mille modi per riutilizzare i fondi di caffè.
Come utilizzare il caffè per eliminare gli odori e profumare gli ambienti di casa
I fondi del caffè assorbono gli odori, sono dunque perfetti eliminare quelli cattivi , soprattutto in ambienti chiusi, armadi, cassetti ecc. Possono essere riposti all’interno di un bicchiere in frigorifero per eliminare gli odori forti di altri cibi; li si può inserire in sacchetti di stoffa da riporre negli armadi e nei cassetti per eliminare l’odore di chiuso. Possono essere utilizzati come deodoranti per l’ambiente, basta unire i fondi di caffè con acqua e cannella.Infine è possibile utilizzare i fondi del caffè nei posacenere in modo da attutire la puzza di cenere.
I fondi del caffè per la cura dei capelli e del corpo
Sono perfetti per la cura dei capelli, infatti aiutano a eliminare la forfora, a prevenire la caduta e donano lucentezza. Dopo lo shampoo basta applicare una piccola dose di caffè utilizzato sulla cute e sulla lunghezza del capello strofinando intensamente e lasciando riposare per almeno 10 minuti. Risciacquare poi con acqua abbondante e shampoo.
E’ possibile utilizzarli per eliminare il cattivo odore che rimane sulle mani dopo aver sbucciato aglio e cipolla o dopo aver cucinato del pesce. Basta utilizzare la polvere di caffè prima del sapone, strofinandola tra le mani, poi procedere con l’insaponatura e il gioco e fatto.
I fondi del caffè sono perfetti per esfoliare la pelle e renderla liscia. Per creare uno scrub naturale bisogna unire i fondi di caffè con un paio di cucchiaini di olio d’oliva e poi spalmare il composto sulla pelle del corpo. Questo scrub pulisce l’epidermide nutrendola in maniera completamente naturale.
Possono essere utilizzati inoltre per combattere la cellulite su cosce e glutei creando una sorta di maschera. Unite i fondi ridotti in polvere ad un cucchiaio di bagnoschiuma e un po’ di acqua tiepida, massaggiate la parte interessata e lasciate in posa per dieci minuti. Poi risciacquate il tutto con acqua fredda.
Usare il caffè per la cura delle piante e per allontanare gli insetti
I fondi di caffè sono degli ottimi fertilizzanti e possono essere utilizzati come concime dato che al loro interno contengono sostanze come calcio, azoto, potassio e magnesio. Basta spargerli nel vaso o impastarli con il terreno. Inoltre sono perfetti per allontanare gli insetti, sono infatti acidi e per questo tengono lontane formiche e lumache. Possono essere sparsi nei punti critici della casa dove solitamente si trovano insetti o utilizzati come pesticidi naturali per le piante.
Il caffè aiuta la memoria: cinque al giorno possono prevenire l’Alzheimer
Uno studio pubblicato dall’Institute for Scientific Information on Coffee (Isic) rivela che la caffeina riduce del 20% rischio di contrarre la patologia
Bere dalle tre alle cinque tazze di caffè al giorno comporta una riduzione fino al 20% del rischio di ammalarsi di Alzheimer. Lo riporta uno studio pubblicato dall’Institute for Scientific Information on Coffee (Isic). Il merito andrebbe attribuito da un lato alla caffeina, che previene la formazione delle placche amiloidi nel cervello, e dall’altro ai polifenoli, che aiutano a ridurre l’infiammazione.
A confermare questi risultati è anche una ricerca condotta da un team di scienziati della Johns Hopkins University coordinato dal dott. Michael Yassa e pubblicata su Nature. Secondo le analisi, la caffeina avrebbe un effetto positivo sulla memoria a lungo termine, riuscendo a rinforzare i ricordi anche a distanza di 24 ore dal consumo. Il dott. Yassa spiega: “l’effetto di potenziamento della memoria era già noto. Noi abbiamo documentato per la prima volta uno specifico effetto sulla riduzione dell'”oblio” a oltre 24 ore di distanza”.
Durante i test, alcuni volontari hanno assunto 200 mg di caffeina. I ricercatori hanno osservato che la sostanza riusciva a “fissare” la memoria e a contrastare l’accumulo nel cervello e nei vasi sanguigni della proteina beta amiloide, responsabile della formazione delle placche amiloidi che incidono in maniera decisiva nell’insorgere dell’Alzheimer.
Un gruppo di ricercatori della University of South Florida ha poi somministrato la caffeina a topi da laboratorio, riscontrando un calo ematico e cerebrale significativo della proteina beta amiloide. L’esperimento, suddiviso in due distinti studi coordinati dal dott.Huntington Potter, valuta l’incidenza preventiva della caffeina sull’Alzheimer al netto di altri fattori come la dieta, l’attività fisica e lo stile di vita. Questo è stato possibile modificando geneticamente i topi da laboratorio, in maniera da renderli soggetti a perdite di memoria simili a quelle riscontrabili nell’Alzheimer, e osservando poi come la caffeina interagiva col loro organismo. I roditori mostravano deficit mnemonici a 18-19 mesi, corrispondenti ai 70 anni nell’uomo.
In futuro si potrebbero testare anche sull’uomo le virtù anti-Alzheimer della caffeina: il National Research Council della National Academy of Sciences ritiene che questa sostanza non dovrebbe essere nociva se assunta in queste quantità moderate. Considerando, ovviamente, le dovute eccezioni come le donne incinte e gli ipertesi, per i quali caffè, tè e affini vanno assunti con parsimonia.
CELLULA
Una delle caratteristiche della caffeina è quella di attraversare con grande facilità le membrane cellulari del nostro organismo; ciò implica che subito dopo averla assunta la caffeina si trova già in ogni singola cellula del corpo.
Quasi nessun medicinale riesce a fare altrettanto, la sua permeabilità è veramente eccezionale.
Fioritura del caffè
La fioritura della pianta del caffè è uno spettacolo meraviglioso.
Basta un forte acquazzone tropicale e due o più volte l’anno, a seconda della varietà, la pianta si copre di una miriade di fiori bianchi, dal profumo delizioso e dolcissimo, come quello del gelsomino.
Dopo 24 ? 36 ore dalla fioritura i petali cadono e inizia a formarsi il frutto del caffè, detto drupa.
Maragogype
I frutti del caffè si chiamano drupe, contengono in genere due chicchi emisferici, assumono colorazioni diverse a seconda del grado di maturazione.
Sono pronti per essere colti circa 6 -8 mesi dalla loro formazione.
Alcune drupe, in particolare quelle alla sommità della pianta contengono un solo chicco di caffè, dalla forma arrotondata; questi particolari chicchi, detti caracolli, sono molto apprezzati e ricercati per le loro caratteristiche di gusto.
Alcune varietà di caffè centro-americane hanno percentuali di caracolli che arrivano al 30%.
Esiste anche una varietà “gigante” di chicco di caffè.
Questa viene detta “chicco elefante” o Maragogype ed è oggetto di particolare selezione.
Si trova, in particolare, in varietà centro-americane di caffè e viene anche utilizzata per incroci volti ad ottenere da alcune piante chicchi di dimensioni più generose.
Ciclo di vita pianta caffè
Il chicco verde di caffè seminato nella terra germina dopo 6 ? 8 settimane. Solo dopo 3 o 4 anni avrete il piacere di vedere fiorire la pianta, e il primo raccolto potrà avvenire soltanto al termine di 4 ? 5 anni.
La pianta del caffè vive 50 anni circa, ma la vita delle piante sfruttate in modo intensivo non supera i 30 anni circa.