Eliminano le macchie e combattono la cellulite, ecco i mille usi dei fondi di caffè
Non buttateli via, i fondi del caffè sono perfetti per eliminare gli odori e le macchie ostinate su stoviglie e superfici, possono essere utilizzati per contrastare la forfora e combattere la cellulite. Ecco i mille modi per riutilizzare i fondi di caffè.
Come utilizzare il caffè per eliminare gli odori e profumare gli ambienti di casa
I fondi del caffè assorbono gli odori, sono dunque perfetti eliminare quelli cattivi , soprattutto in ambienti chiusi, armadi, cassetti ecc. Possono essere riposti all’interno di un bicchiere in frigorifero per eliminare gli odori forti di altri cibi; li si può inserire in sacchetti di stoffa da riporre negli armadi e nei cassetti per eliminare l’odore di chiuso. Possono essere utilizzati come deodoranti per l’ambiente, basta unire i fondi di caffè con acqua e cannella.Infine è possibile utilizzare i fondi del caffè nei posacenere in modo da attutire la puzza di cenere.
I fondi del caffè per la cura dei capelli e del corpo
Sono perfetti per la cura dei capelli, infatti aiutano a eliminare la forfora, a prevenire la caduta e donano lucentezza. Dopo lo shampoo basta applicare una piccola dose di caffè utilizzato sulla cute e sulla lunghezza del capello strofinando intensamente e lasciando riposare per almeno 10 minuti. Risciacquare poi con acqua abbondante e shampoo.
E’ possibile utilizzarli per eliminare il cattivo odore che rimane sulle mani dopo aver sbucciato aglio e cipolla o dopo aver cucinato del pesce. Basta utilizzare la polvere di caffè prima del sapone, strofinandola tra le mani, poi procedere con l’insaponatura e il gioco e fatto.
I fondi del caffè sono perfetti per esfoliare la pelle e renderla liscia. Per creare uno scrub naturale bisogna unire i fondi di caffè con un paio di cucchiaini di olio d’oliva e poi spalmare il composto sulla pelle del corpo. Questo scrub pulisce l’epidermide nutrendola in maniera completamente naturale.
Possono essere utilizzati inoltre per combattere la cellulite su cosce e glutei creando una sorta di maschera. Unite i fondi ridotti in polvere ad un cucchiaio di bagnoschiuma e un po’ di acqua tiepida, massaggiate la parte interessata e lasciate in posa per dieci minuti. Poi risciacquate il tutto con acqua fredda.
SALUTE – Tè contro l’osteoporosi: così si riducono le fratture all’anca – La bevanda tradizionale cinese può proteggere la salute delle ossa
La caffeina non fa male alle ossa: dopo anni di ricerche dai risultati contrastanti un gruppo di ricercatori cinesi è giunto alla conclusione che non c’è alcuna associazione tra il consumo di caffè e il rischio di frattura all’anca, una delle possibili conseguenze dell’osteoporosi.
Le loro analisi, pubblicate su Osteoporosis International, svelano anzi che un’altra bevanda contenente caffeina, il tè, potrebbe aiutare a proteggere la salute delle ossa. Infatti chi ne beve da 1 a 4 tazze al giorno corre un rischio di fratture all’anca ridotto del 28% rispetto a quello corso da chi non ne beve affatto.
Gli autori dello studio hanno stimato questa riduzione del rischio riesaminando i risultati di 14 differenti studi sul tema che in totale hanno coinvolto quasi 200 mila individui. Nonostante le analisi condotte non permettano di identificare le sostanze presenti nel tè responsabili dell’effetto osservato, secondo i ricercatori non c’è dubbio sull’esistenza di “un’associazione non lineare tra il consumo di tè e il rischio di fratture all’anca”.
Terence O’Neill, presidente del comitato clinico e scientifico della britannica National Osteoporosis Society, ha però sottolineato l’importanza di interpretare le loro conclusioni con la dovuta cautela. “I risultati potrebbero essere stati influenzati da altri aspetti dell’alimentazione e dello stile di vita che sono associati al consumo di tè e caffè e che non sono stati valutati in questi studi – ha sottolineato l’esperto – Ciononostante l’assenza di un qualsiasi rischio significativo di frattura all’anca associato al consumo di caffè e rassicurante”.
Secondo O’Neill ulteriori ricerche permetteranno di chiarire gli effettivi benefici del consumo di tè in termini di salute delle ossa.
L’ANALISI – Robusta, perché e quando nelle miscele italiane è cresciuto l’uso della Coffea Canephora
E’ di qualche giorno fa la notizia che gli scienziati sono riusciti per la prima volta a sequenziare il genoma della specie canephora, da cui deriva la varietà Robusta del caffè. Uno dei motivi per cui si sia riusciti a sequenziare questa specie e non la Coffee Arabica, considerata dai migliori esperti più pregiata, è dovuto al fatto che mentre la prima è diploide (ossia ha due copie per ciascun cromosoma), quella arabica ètetraploide (ha quatto copie del corredo cromosomico), circostanza che rende molto più complesso il sequenziamento del genoma.
Questa notizia ci sollecita una curiosità; quando e perché nei caffè italiani si è fatto ricorso alla Robusta?
Per rispondere in modo esaustivo a questa domanda è utile tornare ai primi anni del Secondo Dopoguerra, quando cioè il mercato del caffè registra una vera e propria esplosione: come ho riportato nel libro “Il ritorno alla competitività dell’espresso Italiano” (Franco Angeli), fra il 1946 e il 1970 il consumo pro-capite decuplica, passando da 0,35 a 3,3 Kg. In quegli anni si sono consolidate delle specificità territoriali secondo cui man mano che si scendeva verso Sud, i consumatori tendevano a preferire caffè più “forti” e per questo nelle regioni del Sud i torrefattori realizzavano miscele con profili di tostatura più scura e utilizzavano una maggiore quantità di Robusta. Anche il caffè in tazzina veniva servito in modo diverso: dal momento che la Robusta risultava essere più amara e con una quantità doppia di caffeina rispetto all’Arabica, nelle regioni meridionali si diffuse la moda del caffè “ristretto”, cioè servito in quantità molto più concentrata (15 ml contro i 25-30 ml del Nord).
Tuttavia, l’uso nelle miscele di caffè Robusta diventò presto una prassi diffusa in tutta Italia e non solo da parte dei torrefattori del Sud. Questo perché, come sostiene il prof. Jonathan Morris, il metodo di estrazione dell'”espresso”, in virtù della maggiore pressione dell’acqua, tende ad esaltare l’acidità e allo stesso tempo a pronunciare il profilo aromatico dei caffè; ciò fa sì che anche i caffè considerati deboli da un punto di vista aromatico, come ad esempio i caffè “naturali brasiliani”, nell’espresso garantiscono una buona qualità. Perfino i caffè Robusta nel sistema espresso hanno un risultato qualitativo migliore rispetto alle altre modalità di estrazione. Dall’altro lato, invece gli “Arabica lavati”, come i colombiani, che negli altri sistemi di estrazione vengono considerati più pregiati, nell’espresso risultano poco graditi, soprattutto al consumatore italiano, proprio per la loro eccessiva acidità. Tutto ciò ha portato il professor Morris a definire il metodo “espresso” «come un modo per rendere i caffè ordinari buoni, ma i buoni caffè ordinari».
Oltre agli aspetti aromatici e di “resa in tazza”, a favorire l’uso di Robusta e Arabica naturali, c’era anche il fattore costo; essendo essi più economici rispetto agli Arabica lavati, i torrefattori potevano risparmiare sui costi.
Nei decenni ’50 e’60, i Brasiliani naturali ancora costituivano la principale base delle miscele; dai dati sulle importazioni risulta infatti che nei primi anni ’70 essi rappresentavano il 69% del totale dei caffè importati in Italia, mentre i Robusta pesavano per il 20% (si veda Fig.1). Questo mix subì un drastico cambiamento a partire dalla metà degli anni ’70, a seguito di alcuni fattori:
a) negli anni 1976-1977 in Brasile alcune gelate distrussero gran parte dei raccolti, e ciò fece schizzare in alto i prezzi. I torrefattori italiani furono allora costretti a intensificare l’uso del Robusta per compensare la scarsa disponibilità degli Arabica naturali;
b) il prezzo al pubblico della tazzina di caffè era regolato dalle autorità locali, per cui i torrefattori erano impossibilitati a traslare interamente i maggiori costi della materia prima sul prodotto finito. Essi cercarono allora di recuperare margini di redditività spostando il mix di produzione su caffè più economici;
c) i consumatori italiani non percepirono il calo qualitativo del caffè, o quanto meno non reagirono con una contrazione dei consumi, e quindi i torrefattori si sentirono legittimati a proseguire la loro politica di impoverimento della qualità delle miscele, quando le quotazioni tornarono ai livelli normali;
d) il mercato dei bar dalla fine degli anni ’70 aveva raggiunto il livello di saturazione, per cui, a fronte dei minori margini di crescita, i torrefattori avevano iniziato ad attuare politiche competitive basate sull’arricchimento dell’offerta (attraverso macchine in comodato d’uso gratuito, finanziamenti per rinnovo locali etc.), che portò ad alzare sensibilmente i costi di acquisizione e di fidelizzazione dei clienti. Come effetto collaterale, la qualità della miscela di per sé passò in secondo piano e ciò permise ai torrefattori di recuperare marginalità attraverso un risparmio sui costi della materia prima.
Il risultato di questi fattori fu che agli inizi degli anni ’80 il mix degli approvvigionamenti era profondamente cambiato: i Robusta erano saliti al 43%, mentre i Brasiliani erano scesi al 36%. (Dati e informazioni tratti da: “Il ritorno alla competitività dell’espresso Italiano”, Franco Angeli, 2014)
Alla luce di questi dati possiamo ritenere che è stato il fattore economico il vero motivo del maggior uso dei caffè Robusta nelle miscele italiane e non fattori qualitativi come alcune volte si sente sostenere da qualcuno. La logica del risparmio sui costi della materia prima, che da un certo momento storico in poi ha preso il sopravvento nelle politiche dei torrefattori, ha finito per logorare la qualità del prodotto venduto al bar, esponendo quest’ultimo alle pressanti insidie dei nuovi competitors che nel frattempo si sono affacciati, come ad esempio il vending prima ed il monoporzionato più recentemente.
Il risultato di questo processo è sotto gli occhi di tutti; il calo costante e drammatico dei consumi di caffè al bar dal 2000 ad oggi ed un calo di competitività anche in campo internazionale (nonostante la crescita dell’export), come emerge in modo chiaro ed inequivocabile dagli indici analizzati nel libro citato sopra.
Come utilizzare il caffè per eliminare gli odori e profumare gli ambienti di casa.
I fondi del caffè assorbono gli odori, sono dunque perfetti per eliminare quelli cattivi , soprattutto in ambienti chiusi, armadi, cassetti ecc. Possono essere riposti all’interno di un bicchiere in frigorifero per eliminare gli odori forti di altri cibi; li si può inserire in sacchetti di stoffa da riporre negli armadi e nei cassetti per eliminare l?odore di chiuso. Possono essere utilizzati come deodoranti per l?ambiente, basta unire i fondi di caffè con acqua e cannella.Infine è possibile utilizzare i fondi del caffè nei posacenere in modo da attutire la puzza di cenere.
Il caffè? Adesso si fa con lo smartphone
Prima o poi doveva accadere. Doveva accadere che tra le tante cose che lo smartphone riesce a fare, ci fosse finalmente anche il caffè. Uno dei lussi per i caffè-dipendenti e per chi ama la tecnologia un po? esibizionista è finalmente arrivato anche in Italia, importato da Frigo2000. Si tratta di Top Brewer di Scanomat, un rubinetto sottile, elegante, che esce dal lucidissimo ripiano di acciaio della cucina e dal quale scende, fumante e profumato, il classico espresso italiano, oppure il cappuccino, il latte macchiato, la cioccolata. Niente apparecchi ingombranti in giro, solo un rubinetto immancabilmente di design, essendo di origine nordica (norvegese).
Passandogli vicino con il cellulare, si attiva ed eroga il caffè personalizzato nella temperatura, nella quantità e nella densità; se si desidera è possibile anche avviarlo in wi-fi dallo smartphone e dal tablet. A che scopo sinceramente non si sa ma è una prerogativa che ha fatto vendere migliaia di questi rubinetti costosissimi in tutto il mondo. La Scanomat, super premiata per il design, ha sviluppato anche altre applicazioni per lo stesso rubinetto dal quale può uscire qualsiasi bevanda, spremute, acqua, birra, thè e, beninteso, anche lo champagne. Nelle grandi splendide cucine da ricevimento, ecco un ripiano attrezzato con alcuni rubinetti Scanomat, per la gioia degli ospiti che si servono come e quando vogliono e di ciò che preferiscono.
Fonte: http://food24.ilsole24ore.com/2014/10/caffe-si-fa-smartphone/
SALUTE – La caffeina aiuterebbe i prematuri a respirare meglio
La caffeina migliorerebbe il livello di ossigeno nel sangue dei prematuri, aiutandoli così a respirare meglio
E’ quanto sostiene il neonatologo e pneumatologo Lawrence Rhein , Harvard Medical School.Da più di un decennio,i neonatologi avrebbero regolarmente somministrato ai neonati prematuri caffeina come stimolante respiratorio, aiutando i loro polmoni immaturi a respirare e a ridurre gli episodi di ipossia intermittente ( IH) – ossia brevi cadute ripetute dei livelli di ossigeno nel sangue.
Uno studio sarebbe stato condotto su un gruppo di bambini ai quali si sarebbe somministrata caffeina per altre sei settimane dopo la 34esima settimana. I risultati sarebbero stati sorprendenti secondo il dottor Rhein.
La caffeina appartiene ad un gruppo di farmaci chiamati metilxantine, che hanno dimostrato di migliorare la respirazione. La caffeina è uno stimolante che agisce principalmente nel sistema respiratorio rilassando i muscoli bronchiali.
Dunque contribuirebbe a migliorare l’assorbimento di ossigeno da parte neonati prematuri in cui l’insufficienza respiratoria è un problema grave.
Fonte: Harvard Medical school
IL CONCERTO DEL CAFFE’ – I suoni della tostatura
Ecco i rumori del caffé dicono quando i chicchi sono pronti: interpretare questa musica è un’arte, ma ora è stata registrata e classificata.
Ascoltare con attenzione crepitii, colpi secchi, e scoppiettii della tostatura è essenziale per avere poi un buon caffè. Lo sanno bene gli esperti torrefattori, esercitati a riconoscere dal rumore la perfetta tostatura, quella che regala alla bevanda un?intensa armonia di profumi, sapori e forza. E? il concerto del caffè.
Il motivetto del caffè accompagna anche la tostatura artigianale ma, osserva Preston Wilson, dell?università del Texas, non c?era finora la descrizione dei suoni prodotti: nessuno li aveva classificati con precisione. Finora, appunto. Così Wilson preso i chicchi verdi di una miscela per espresso, li ha inseriti in un tamburo rotante elettrico (una macchina per la tostatura) e ha avviato la registrazione.
I DUE CRACK Alcune fasi della tostatura sono caratterizzate da due schiocchi (crack) distinti. Il primo si verifica dopo 400 secondi e si prolunga per 200: ricorda i popcorn che scoppiano. Più bassi e più frequenti, quelli del secondo crack si fanno sentire fra i 620 e 730 secondi: sono scoppiettii e crepitii rapidi, come quelli del riso soffiato per la prima colazione) immersi nel latte.
Le tostatrici automatiche industriali si basano su vari parametri, come la valutazione del volume del chicco, che aumenta tostando. Ma è sempre un operatore a decidere quando interrompere il processo, osservando il colore del chicco, annusando i profumi e ascoltando i crepitii.
COGLI L?ATTIMO Wilson vorrebbe invece creare una macchina capace di fermarsi da sé quando sente le giuste note, non un momento prima né un momento dopo. In 15-20 minuti a 200-220° il caffè è tostato, ma quando di preciso? Un attimo prima e la tostatura non si completa e il caffè non emette tutti i suoi aromi; un attimo dopo e il chicco perde profumi e sapori: saprà la macchina cogliere la sinfonia della tostatura e fermarsi al momento giusto?
LA CULTURA DEL CAFFE’
Dal giorno della su comparsa il caffè è stato cantato da scrittori e poeti. lo scrittore francese Honorè del Balzac fu uno degli intellettuali più prolifici riguardo alle virtù e ai piaceri del caffè parlandone sia nel suo Trattato sugli eccitanti moderni (1839), sia nei romanzi Eugénie Grandet (1833) e Ursule Mirouet (1841).
le botteghe del caffè e i Caffè di Parigi, Vienna, Praga, Bberlino, Budapest, Roma o Milano furono i più importanti centri intellettuali del ‘700 e dell’800, luoghi d’incontro per scrittori e artisti, politici e filosofi. non è un caso che tutti i grandi illuministi sono ricordati come accaniti bevitori di caffè, primo fra tutti Francois-Marie Arouet de Voltaire, che, si racconta, ne consumava una quarantina di tazze al giorno. D’altronde il caffè è adatto ad animare discussioni e a tenere pronta la mente a ogni tipo di stimolo. L’illuminismo, inoltre, fu sempre interessato alle culture non europee, prima fra tutte quella islamica. Il caffè è anche il titolo del primo periodico italiano di scienza, arte e vita sociale, fondato da Pietro e Alessandro Verri e Cesare Beccaria. E ancora, Carlo Goldoni ambientò la sua nota commedia, La Bottega del caffè, in una delle tipiche mescite veneziane. Il locale in cui si serve il caffè è stato anche un oggetto di numerose raffigurazioni. Dai pittori veneziani dei secoli XVII e XVIII (Longhi e Bertini) agli orientaleggianti, dal famosissimo Cafè à Montmartre di Vincent Van Gogh all’americano Edward Hopper, i pittori di ogni epoca e luogo hanno voluto ritrarre questo rito così personale. Nel secolo XVII il diffondersi della moda della Turchia attira i migliori ritrattisti che raffigurano donne vestite all’orientale o uomini in abiti turchi con in mano una piccola tazza di porcellana. Nel secolo XIX, invece, il consumo di caffè si accompagna sempre più a scene di intimità famigliare. Per citare solo alcuni quadri possiamo ricordare la Donna con caffettiera di Paul Cézanne, la Colazione nell’atelier di Eduard Manet, La lettrice di Henry Matisse o ancora opere di Henri Rousseau, Georges Braque o Giorgio Morandi.
IN GIRO PER IL MONDO
La prima tappa importante della diffusione del caffè nel mondo fu il passaggio del mar Rosso, dalla culla d’Etiopia allo Yemen. Nei primi anni del secolo XVII, al primitivo mercato orientale del caffè nello Yemen si sostituì poco a poco quello delle grandi compagnie marittime europee. Fondata nel 1600 a Londra, la East India Company fu la prima a inviare le sue navi sulla rotta delle Indie e nove anni più tardi fu la prima ad attraccare a Moka. Ma furono soprattutto i mercanti della Compagnia olandese delle Indie Orientali a guadagnarsi la fiducia dei governanti di Moka. In attesa che il proprio caffè soppiantasse quello yemenita, la Compagnia olandese aprì sulle coste del mar Rosso un proprio magazzino per esportare caffè in Olanda e nei suoi possedimenti asiatici. Alla fine del XvII secolo, poi, furono impiantate coltivazioni di qualità Arabica a Giava, a Sumatra, a Ceylon e infine in America, nel Suriname e in Guiana Olandese. In pochi anni le colonie olandesi divennero i primi fornitori di caffè, a danno dell’Arabia che perse la posizione di monopolio.
Nei secoli XVII e XVIII, Amsterdam conobbe un’importante attività legata al trasporto e al commercio del caffè: vi si scaricavano le merci provenienti dallo Yemen e dalle lontane colonie asiatiche, si organizzavano aste e si costruivano le grandi navi per la potente Compagnia olandese. L’esempio degli olandesi venne ben presto seguito dai francesi e inglesi. La Francia iniziò a coltivare il caffè nelle Antille. In Martinica, nel 1720, vennero importate due piante, generate da un arbusto donato al re di Francia dal sindaco di Amsterdam, che presto si acclimarono nella colonia. Dieci anni dopo i coloni furono in grado di esportare per la prima volta il caffè, le cui piantagioni si estesero successivamente anche a Guadalupa e Santo Domingo. Successivamente, a seguito di una rivolta degli schiavi, che incendiarono le piantagioni e presero il controllo di Santo Domingo, la Francia perse il primato come produttore mondiale di caffè. Nel 1600 e 1700, a sottolineare la supremazia francese nel commercio del caffè, il porto di Marsiglia fu per lungo tempo il centro strategico dell’importazione, al punto che all’inizio del XVIII vi furono convogliate in esclusiva le navi dell’Arabia in arrivo dal porto di Moka. Nel solo anno 1660 vi vennero scaricati 19.000 quintali di Moka egiziana, di cui un terzo destinato ai provenzali e il resto riesportato verso il Nord Italia, la Svizzera e l’Europa settentrionale. Nel secolo XIX Bordeaux e Le Havre divennero i principali porti d’importazione francese per il caffè e ricevevano i chicchi soprattutto dalle Antille e dalle colonie francesi in Africa. In Italia, invece, il primo grande porto a ricevere il caffè fu Venezia. Agli inizi del ‘700 il caffè arrivò anche in Brasile e fu poi piantato in Messico e Venezuela. Solo alla fine del secolo sbarcò in Colombia, oggi il secondo produttore mondiale dopo il Brasile, ma primo per qualità. La diffusione dei chicchi di caffè in Africa è invece un evento abbastanza recente. Per ironia della sorte, sebbene fosse originario del continente africano, il caffè ha compiuto l’intero giro del mondo prima di essere reintrodotto in questi territori, grazie anche al contributo dei missionari che si adoperarono per la prosperità delle piantagioni.
I PRIMI PASSI VERSO UN SUCCESSO GLOBALE
Se le origini appaiono incerte, sicuro è, invece, che per un lungo periodo di tempo il caffè fu utilizzato, macinato e impastato, con burro o grasso, in pani che si consumavano durante i viaggi nel deserto e prima delle battaglie. Furono gli arabi, civiltà nomade e sapiente, a fare del caffè la bevanda che oggi tutti conosciamo, iniziando a tostarlo verso la fine del 1300. prima lo acquistavano in Etiopia, successivamente iniziarono a coltivarlo in Yemen. Se gli arabi sono gli inventori del processo di torrefazione del caffè, è ai turchi ottomani, invece, che si deve la sua diffusione all’interno del loro vasto impero e in Occidente. Gli europei scoprirono il caffè nei loro viaggi fin dal 1500. Gian Francesco Morosini, ambasciatore delle Serenissima presso il Sultano di Costantinopoli, riferiva che i turchi avevano l’abitudine di “bere nelle botteghe come per le strade un’acqua nera, bollente, che si cavava d’una semente chiamata caveh che dicevano avesse la virtù di fare stare l’uomo bene svegliato”. Prospero Alpini, medico veneziano che soggiornò in Egitto, ne scrisse in De Plantis Aegypti narrandone i benefici terapeutici. Grazie alla loro capacità di studiare gli usi degli altri popoli trasformandole in mode, i Veneziani lanciarono il caffè come consumo voluttuario.
Le prime importazioni si fanno risalire al 1615 quando Pietro della Valle promise di portare la nuova mercanzia da Costantinopoli nella Repubblica veneziana. Il caffè veniva imbarcato nel porto di tuato sulla riva yemenita del Mar Morto, e sbarcato a Venezia dove era inizialmente venduto nelle farmacie come medicinale a carissimo prezzo. Sempre i veneziani importarono in Europa la tradizione di consumare la “bollente bevanda nera” in un posto specifico e a Venezia, a metà ‘600, nacque in Piazza San Marco la prima bottega del Caffè.
Altro luogo di profonda diffusione del caffè fu l’Austria. nel 1663 i turchi furono costretti ad abbandonare l’assedio di Vienna; terminato l’incubo ottomano, le vie commerciali e culturali si aprirono e i viennesi svilupparono un amore per la nera bevanda che andò consolidandosi nei secoli. Il caffè viennese resta ancora oggi il metodo di preparazione europeo più simile a quello turco, dal quale si differenzia solo perché viene filtrato. In quel periodo il “vino d’Arabia” sbarcò anche in Francia e nel corso del ‘600 il consumo si estese in Gran Bretagna e Germania. va agli olandesi, invece, il merito di aver diffuso la sua produzione al di fuori dei paesi arabi. nel 1602 fu costituita la Compagnia Olandese delle Indie orientali che sostituì il sistema di trasporto tradizionale realizzato per carovane. Contemporaneamente, per rispondere al crescente consumo e aggirare le pesanti tasse imposte dai porti d’imbarco, furono avviate molte ricerche sulla possibilità di trapiantare il caffè in altre parti del mondo. Gli arabi, gelosi della loro pregiata coltivazione e decisi a mantenere il controllo sulla produzione di caffè, usavano bollire i chicchi prima di esportarli, in modo da impedirne la germinazione al di fuori delle loro terre. Ma nel 1616, il mercante olandese Pietre van Der Broecke riuscì nell’impresa di trafugare alcuni arbusti di caffè che vennero trapiantati e coltivati con successo nelle serre del Giardino Botanico di Amsterdam e, quindi, inviati nelle colonie olandesi delle indie Orientali.