Emicrania e caffè: un rimedio antico con solide basi scientifiche
MILANO – Un caffè contro l’emicrania: questo antico rimedio della nonna potrebbe avere solide basi scientifiche. Alle sue radici ci sarebbe infatti all’azione vasocostrittrice, lievemente analgesica, esercitata dal caffè sui vasi sanguigni. Le ricerche sui fattori di rischio per l’emicrania continuano a fornire prove a sostegno della teoria secondo cui i vasi sanguigni cerebrali sarebbero da includere fra gli elementi che entrano in gioco nella genesi di questa forma di mal di testa.
L’ultima in ordine di tempo è stata pubblicata da un consorzio internazionale di ricercatori sulle pagine di Nature Genetics. La ricerca ha portato all’individuazione di almeno 30 nuovi fattori di rischio genetico per l’emicrania. Nove dei quali corrispondono a geni precedentemente coinvolti in alcune patologie vascolari e altri 4 nella regolazione del tono vascolare.
La nuova ricerca ha previsto di combinare i dati provenienti da 22 studi di genomica, per un totale di 375 mila partecipanti di origine europea, americana e australiana, fra cui 60 mila persone affette da emicrania.
Sono state così individuate 38 regioni del genoma associate alla presenza di questa forma di mal di testa. Nella maggior parte dei casi al loro interno sono presenti geni già noti agli scienziati. Solo 10 erano già state associate in passato al rischio di emicrania. “Sono state scoperte decine di nuovi fattori di rischio”. Sottolinea Aarno Palotie, l’esperto a capo del consorzio che ha condotto il nuovo studio. Precisando che ciascuno di questi fattori contribuisce all’aumento del rischio solo in piccola parte.
Secondo John-Anker Zwart, esperto dell’Ospedale Universitario di Oslo coinvolto nella ricerca, l’individuazione di questi fattori di rischio genetico rappresenta “il primo passo concreto verso lo sviluppo di trattamenti personalizzati basati su prove scientifiche” contro l’emicrania.
Un disturbo debilitante che colpisce circa un settimo della popolazione mondiale. I meccanismi sono però ancora poco conosciuti, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di messa a punto di terapie efficaci.
Sottogruppi
“In futuro – auspica Zwart – speriamo che queste informazioni possano essere utilizzate per dividere i pazienti in diversi gruppi di suscettibilità genetica per studi clinici sui farmaci, in modo da aumentare la possibilità di identificare il miglior trattamento specifico per ciascun sottogruppo”.